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quarta-feira, 10 de fevereiro de 2010

I Due Foscari (IX)

O último acto inicia-se na Praça de São Marcos onde Jacopo se despede da cidade para partir para o exílio.


SCENA I

L'antica piazetta di San Marco. Il canale è pieno di gondole che vanno e vengono. Di fronte vedesi l'isola dei Cipressi, ora San Giorgio. Il sole volge all'occaso. La scena, da principio vuota, va riempiendosi di popolo e maschere, che entrano da varie parti, s'incontrano, si riconoscono, passeggiano. Tutto è gioia.

CORO I:
Alla gioia!

CORO II:
Alle corse, alle gare . . .

CORO I:
Sia qui lieto ogni volto, ogni cor.

TUTTI:
Figlia, sposa, signora del mare.
è Venezia un sorriso d'amor.

CORO I:
Come specchio l'azzurra laguna
le raddoppia il fulgore del dì.

CORO II:
Le sue notti inargenta la luna,
né le grava se il giorno sparì.

TUTTI:
Alle gioie, ecc.

(Entram Loredano e Barbarigo )

BARBARIGO:
Ve'! Come il popol gode! . . .

LOREDANO:
A lui non cale
se Foscari sia Doge o Malipiero.
(Si avanza fra il popolo)
Amici . . . che s'aspetta?
Le gondole son pronte; omai la festa
coll'usata canzone incominciamo.

CORO:
Sì, ben dicesti.
Allegri, orsù cantiamo.

Tace il vento, è queta l'onda;
mite un'aura l'accarezza . . .
Dêi mostrar la tua prodezza;
prendi il remo, o gondolier.
La tua bella dalla sponda
già t'aspetta palpitante;
per far lieto quel sembiante
voga, voga, o gondolier,
fendi, scorri la lagnuna,
che dinanzi a te si stende;
chi la palma ti contende
non ti vinca, o gondolier.
Batti l'onda, e la fortuna
assecondi il tuo valore . . .
Alla bella vincitore
torni lieto il gondolier.





(Escono dal palazzo ducale due trombettieri seguiti dal Messer Grande. I trombettieri suonano, ed il poplo si ritira. Anche le gondole scompariscono dal canale, ov'è una galera, su cui sventola il vessillo di San Marco)

POPOLO: (udite le trombe)
La guistizia del Leone! . . .
Finché passi . . . via di qua.


BARBARIGO:
Di timor non v'ha ragione!

LOREDANO:
Questo volgo ardir non ha.


JACOPO:
Donna infelice, sol per me infelice,
vedova moglie a non estinto sposo,
addio . . . fra poco un mare
tra noi s'agiterà e per sempre! Almeno
tutte schiudesse ad ingoiarmi, tutte
le sirti del suo seno.

LUCREZIA:
Taci, crudel, deh taci!

JACOPO:
L'inesorabil suo core di scoglio,
più di costor pietoso,
frangesse il legno, ed una pronta morte
quest'esule togliesse
al suo lento morire . . .
Paghi gli odi sariano e il mio desire.

LUCREZIA:
E i figli? E il padre? Ed io?

JACOPO:
Da voi lontano - è morte il viver mio.
All'infelice veglio
conforta tu il dolore,
dei figli nostri in core
tu ispira la virtù.
A lor di me favella,
di' che innocente io sono,
che parto, che perdono,
che ci vedrem lassù.

LUCREZIA:
Cielo, s'affretti al termine
la vita mia penosa!

JACOPO:
Di Contarini e Foscari
mostrati figlia e sposa!
Che te non veggan piangere;
gioire alcun ne può.

LOREDANO: (imperiosamente al Messer Grande)
Messer, a che più indugiasi?
Parta, n'è tempo omai.

JACOPO e LUCREZIA:
Chi sei?

LOREDANO: (levandosi per un istante la maschera)
Ravvisami.

JACOPO:
Oh ciel, chi veggio mai!
Il mio nemico demone!

JACOPO e LUCREZIA:
Hai d'una tigre il cor!

JACOPO:
Ah padre, figli, sposa,
a voi l'addio supremo!
In cielo un giorno avremo
merce' di tal dolor.

LUCREZIA:
Ah, ti rammenta ognora
che sposo e padre sei,
ch'anco infelice, dêi
vivere al nostro amor.

PISANA, BARBARIGO e CORO
(Frenar chi puote il pianto
a vista sì tremenda!
Troppo, infelici, è
tal pena ad uman cor!)

LOREDANO:
(Comincia la vendetta
tant'anni desiata.
O stirpe abbominata,
m'è gioia il tuo dolor!)

JACOPO:
In cielo un giorno avremo
merce' di tal dolor!
Sposo addio!




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