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segunda-feira, 25 de janeiro de 2010

I due foscari(VIII)

Na sala do conselho, fala-se dos crimes de que Jacopo é acusado, e que são reveladores de assassínio e traição contra o Estado

CORO I:
Che più grave; si tarda?

CORO II:
Affrettisi ormai questa partenza.

CORO I:
Inulte l'ombre fremono,
ne accusan d'indolenza.

CORO II:
Parta l'iniquo Foscari . . .
Ucciso egli ha un Donato.

CORO I:
Per istranieri principi
l'indegno ha parteggiato.

TUTTI:
Non fia che di Venezia
ei sfugga alla vendetta . . .
Giustizia incorruttibile
non fia qui mai negletta!
Baleni, e come folgore
punisca il traditor;
mostri ai soggetti popoli
un vigile rigor.




O Doge entra seguido pelo filho que continua a protestar a sua inocência. Mas o Doge não o escuta. Aparece em seguida Lucrezia que traz consigo os filhos numa última tentativa de obter clemência. Mas a clemência não é concedida.

DOGE:
O patrizi . . . il voleste . . .
eccomi a voi . . .
Ignoro se il chiamarmi ora in Consiglio
sia per tormento al padre,
oppure al figlio;
ma il voler vostro è legge . . .
Giustizia ha i dritti suoi . . .
M'è d'uopo rispettarne anco il rigore . . .
Sarò Doge nel volto,
e padre in core.

CORO:
Ben dicesti.
Il reo s'avanza . . .

DOGE:
(Dona, o ciel, a me costanza!)

(Jacopo entra fra quattro custodi)

LOREDANO:
Legga il reo la sua sentenza.
(Dà una pergamena al Fante, che la consegna a Jacopo, il quale legge)
Del consiglio la clemenza
or la vita ti donò.

JACOPO: (restituisce la pergamena)
Nell'esilio io morrò . . .
Non hai, padre, un solo detto
pel tuo Jacopo reietto?
Se tu parli, se tu preghi,
non sarà chi grazia neghi . . .
Pregar puoi; sono innocente;
il mio labbro a te non mente.

CORO:
Non s'inganna qui la legge,
qui giustizia tutto regge.

DOGE:
Il Consiglio ha giudicato;
parti, o figlio, rassegnato.
(S'alza, tutti lo imitano)

JACOPO:
Mai più dunque ti vedrò?

DOGE:
Forse in cielo, in terra no.

JACOPO:
Ah, che di'? Morir mi sento.

LOREDANO: (ai custodi che gli si pongono al fianco, e si avviano)
Da qui parta sul momento.

(Lucrezia Contarini si presenta sulla soglia coi due figli, seguita da varie dame sue amiche e dalla Pisana)

LUCREZIA:
No . . . crudeli!

JACOPO:
Ah, i figli miei!
(Corre ad abbracciarli)

DOGE, BARBARIGO, CONSIGLIERI e FANTE:
(Sventurata! . . . Qui costei!)

LOREDANO, DOGE, BARBARIGO, CONSIGLIERI:
Quale audacia vi guidò?

JACOPO:
Miei figli! Miei figli!
(Prende i due fanciulli piangenti, e li pone in ginocchio ai piedi del Doge)
Queste innocente lagrime
ti chiedono perdono . . .
A lor m'unisco, e supplice
a' piedi del tuo trono,
padre, ti grido, implorami,
concedimi pietà.

LUCREZIA: (ai Consiglieri)
O voi, se ferrea un'anima
non racchiudete in petto,
se mai provaste il tenero
di padri e figli affetto,
quelle strazianti lagrime
vi muovano a pietà.

BARBARIGO: (a Loredano)
Ti parlin quelle lagrime,
o Loredano, al core;
quei pargoli disarmino
l'atroce tuo furore;
almeno per quei miseri
t'inchina alla pietà.

LOREDANO: (a Barbarigo)
Non sai che in quelle lagrime
trionfa una vendetta,
che qual rugiada scendono
al cor di chi l'aspetta,
che per gli alteri Foscari
sentir non vo' pietà?

CONSIGLIERI: (alle dame)
Son vane ora le lagrime;
provato è già il delitto:
Non fia ch'esse cancellino
quanto giustizia ha scritto;
esempio sol dannabile
sarebbe la pietà.

PISANA e DAME: (ai Consiglieri)
Quelle innocenti lagrime
muovano il vostro core;
in voi clemenza ispirino,
ne plachino il rigore;
di pace come un'iride
qui brilli la pietà.

DOGE:
(Non ismentite, o lagrime,
la simulata calma:
A ognuno qui nascondasi
l'affanno di quest'alma . . .
Ne' miei nemici infondere
non potria la pietà)

LOREDANO:
Parta . . . perché ancor s'esita?
Parta lo sciagurato.

LUCREZIA:
La sposa, i figli seguano,
dividano il suo fato . . .

JACOPO:
Ah sì . . .

LOREDANO:
Costor rimangano:
La legge omai parlò.
(Toglie i figli dalle braccia di Jacopo e li consegna ai Commandadori)

JACOPO: (al Doge)
Ai figli tu dell'esule
sii padre e guida almeno . . .
Tu li proteggi . . .

DOGE:
(Misero!)

JACOPO:
Vedi, al sepolcro in seno,
illagrimata polvere
fra poco scenderò.

DOGE, LOREDANO, e CONSIGLIERI:
Parti . . . t'è forza cedere:
la legge omai parlò.

LUCREZIA, PISANA, BARBARIGO e DAME:
Affanno più terribile
in terra chi provò?


domingo, 10 de janeiro de 2010

I due foscari(VII)

Regressam depois à realidade com a chegada do Doge que vem despedir-se do filho.

JACOPO e LUCREZIA (correndogli incontro)
Ah, padre!

DOGE:
Figlio! Nuora!

JACOPO:
Sei tu?

LUCREZIA:
Sei tu?

DOGE:
Son io. Volate al seno mio.

TUTTI:
Provo una gioia ancor!

DOGE:
Padre ti sono ancora,
lo credi a questo pianto;
il volto mio soltanto
fingea per te rigor.

JACOPO:
Tu m'ami?

DOGE:
Sì.

JACOPO:
Oh contento!
Ripeti il caro accento.

DOGE:
T'amo, sì, t'amo, o misero.
Il Doge qui non sono.

JACOPO:
Come è soave all'anima
della tua voce il suono!

DOGE:
Oh figli, sento battere
Il vostro sul mio cor!

JACOPO e LUCREZIA:
Così furtiva palpita
la gioia nel dolor!

JACOPO:
Nel tuo paterno amplesso
io scordo ogni dolore.
Mi benedici adesso,
dà forza a questo core,
e il pane dell'esilio
men duro fia per me . . .
Questo innocente figlio
trovi un conforto in te.

DOGE:
Abbi l'amplesso estremo
d'un genitor cadente;
il giudice supremo
protegga l'innocente . . .
Dopo il terreno esilio
giustizia eterna v'è.
Al suo cospetto, o figlio,
comparirai con me.

LUCREZIA:
(Di questo affanno orrendo
farai vendetta, oh cielo,
quando nel dì tremendo
si squarcerà ogni ciglio
il giusto, il reo qual é!)
Dopo il terreno esilio,
sposo, sarò con te.
(Restano abbracciati piangendo; il Doge si scuote)

DOGE:
Addio . . .

JACOPO e LUCREZIA
Parti?

DOGE:
Conviene.

JACOPO:
Mi lasci in queste pene?

DOGE:
Il deggio.

LUCREZIA:
Attendi.

JACOPO:
Ascolta. Ti rivedrò?

DOGE:
Una volta . . .
Ma il Doge vi sarà!

JACOPO e LUCREZIA
E il padre?

DOGE:
Soffrirà.
S'appressa l'ora . . . Addio . . .

JACOPO:
Ciel! . . . chi m'aita?

(Entra Loredano preceduto dal Fante del Consiglio e da quattro custodi con fiaccole)

LOREDANO: (dalla soglia)
Io.

LUCREZIA:
Chi? Tu!

JACOPO:
Oh ciel!

DOGE:
Loredano!

LUCREZIA:
Ne irridi, anco, inumano?

LOREDANO: (freddamente a Jacopo)
Raccolto è già il Consiglio;
vieni, di là al naviglio
che dee tradurti a Creta . . .
Andrai . . .

LUCREZIA:
Io pur.

LOREDANO:
Tel vieta
de'Dieci la sentenza.

DOGE: (ironico)
Degno di te è il messagio!

LOREDANO:
Se vecchio sei, sii saggio.
(ai custodi)
S'affretti la partenza.

JACOPO e LUCREZIA:
Padre, un amplesso ancora.

DOGE:
Figli . . .

LOREDANO:
Varcata è l'ora.

JACOPO e LUCREZIA: (a Loredano)
Ah sì, il tempio che mai non s'arresta
rechi pure a te un'ora fatale,
e l'affanno che m'ange mortale,
più tremendo ricada su te.
Il rimorso in quell'ora funesta
ti tormenti, o crudele, per me.

DOGE: (a Jacopo e Lucrezia)
Deh, frenate quest'ira funesta;
l'inveire, o infelice, non vale!
S'eseguisca il decreto fatale . . .
Sparve il padre,
ora il Doge sol v'è.
La giustizia qui mai non s'arresta:
Obbedire a sue leggi si de'.

LOREDANO: (da sé, guardandoli con disprezzo)
(Empia schiatta al mio sangue funesta,
a difenderti un Doge non vale;
per te giunse alfin l'ora fatale
sospirata cotanto da me)
La Giustizia qui mai non s'arresta,
obbedire a sue leggi si de'.