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domingo, 10 de janeiro de 2010

I due foscari(VII)

Regressam depois à realidade com a chegada do Doge que vem despedir-se do filho.

JACOPO e LUCREZIA (correndogli incontro)
Ah, padre!

DOGE:
Figlio! Nuora!

JACOPO:
Sei tu?

LUCREZIA:
Sei tu?

DOGE:
Son io. Volate al seno mio.

TUTTI:
Provo una gioia ancor!

DOGE:
Padre ti sono ancora,
lo credi a questo pianto;
il volto mio soltanto
fingea per te rigor.

JACOPO:
Tu m'ami?

DOGE:
Sì.

JACOPO:
Oh contento!
Ripeti il caro accento.

DOGE:
T'amo, sì, t'amo, o misero.
Il Doge qui non sono.

JACOPO:
Come è soave all'anima
della tua voce il suono!

DOGE:
Oh figli, sento battere
Il vostro sul mio cor!

JACOPO e LUCREZIA:
Così furtiva palpita
la gioia nel dolor!

JACOPO:
Nel tuo paterno amplesso
io scordo ogni dolore.
Mi benedici adesso,
dà forza a questo core,
e il pane dell'esilio
men duro fia per me . . .
Questo innocente figlio
trovi un conforto in te.

DOGE:
Abbi l'amplesso estremo
d'un genitor cadente;
il giudice supremo
protegga l'innocente . . .
Dopo il terreno esilio
giustizia eterna v'è.
Al suo cospetto, o figlio,
comparirai con me.

LUCREZIA:
(Di questo affanno orrendo
farai vendetta, oh cielo,
quando nel dì tremendo
si squarcerà ogni ciglio
il giusto, il reo qual é!)
Dopo il terreno esilio,
sposo, sarò con te.
(Restano abbracciati piangendo; il Doge si scuote)

DOGE:
Addio . . .

JACOPO e LUCREZIA
Parti?

DOGE:
Conviene.

JACOPO:
Mi lasci in queste pene?

DOGE:
Il deggio.

LUCREZIA:
Attendi.

JACOPO:
Ascolta. Ti rivedrò?

DOGE:
Una volta . . .
Ma il Doge vi sarà!

JACOPO e LUCREZIA
E il padre?

DOGE:
Soffrirà.
S'appressa l'ora . . . Addio . . .

JACOPO:
Ciel! . . . chi m'aita?

(Entra Loredano preceduto dal Fante del Consiglio e da quattro custodi con fiaccole)

LOREDANO: (dalla soglia)
Io.

LUCREZIA:
Chi? Tu!

JACOPO:
Oh ciel!

DOGE:
Loredano!

LUCREZIA:
Ne irridi, anco, inumano?

LOREDANO: (freddamente a Jacopo)
Raccolto è già il Consiglio;
vieni, di là al naviglio
che dee tradurti a Creta . . .
Andrai . . .

LUCREZIA:
Io pur.

LOREDANO:
Tel vieta
de'Dieci la sentenza.

DOGE: (ironico)
Degno di te è il messagio!

LOREDANO:
Se vecchio sei, sii saggio.
(ai custodi)
S'affretti la partenza.

JACOPO e LUCREZIA:
Padre, un amplesso ancora.

DOGE:
Figli . . .

LOREDANO:
Varcata è l'ora.

JACOPO e LUCREZIA: (a Loredano)
Ah sì, il tempio che mai non s'arresta
rechi pure a te un'ora fatale,
e l'affanno che m'ange mortale,
più tremendo ricada su te.
Il rimorso in quell'ora funesta
ti tormenti, o crudele, per me.

DOGE: (a Jacopo e Lucrezia)
Deh, frenate quest'ira funesta;
l'inveire, o infelice, non vale!
S'eseguisca il decreto fatale . . .
Sparve il padre,
ora il Doge sol v'è.
La giustizia qui mai non s'arresta:
Obbedire a sue leggi si de'.

LOREDANO: (da sé, guardandoli con disprezzo)
(Empia schiatta al mio sangue funesta,
a difenderti un Doge non vale;
per te giunse alfin l'ora fatale
sospirata cotanto da me)
La Giustizia qui mai non s'arresta,
obbedire a sue leggi si de'.



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