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quarta-feira, 23 de dezembro de 2009

I due foscari(VI)

Jacopo é desperto por Lucrezia que lhe traz a notícia da sua condenação ao exílio. Os dois falam do amor que sentem um pelo outro, e a esperança renasce no coração de ambos

LUCREZIA:
Ah, sposo mio! . . . che vedo?
Me l'hanno forse ucciso i maledetti,
e per maggiore qui tratta
a contemplar la salma?
Ah, sposo mio!
(Gli palpa il cuore)
Vive ancor!
Quale freddo sudore!
Vieni, amico, ti posa sul mio cor.

JACOPO: (sempre delirando)
Verrò . . .

LUCREZIA:
Che di'?

JACOPO:
M'attendi, orrendo spettro . . .

LUCREZIA:
Son io . . .

JACOPO:
Che vuoi? . . . Vendetta?

LUCREZIA:
Non riconosci la sposa tua?

JACOPO:.(Lucrezia lo abbraccia con trasporto)
Ah, sei tu?

LUCREZIA:
Ah, ti posa sul mio cor.

JACOPO:
Fia vero! Fra le tue braccia ancor?
Respiro!
Fu dunque sogno . . . orrendo sogno il mio!
Il carnefice attende? L'estremo addio
vieni ora a darmi?

LUCREZIA: (piangendo)
No.

JACOPO:
E i figli miei, mio padre?
Saran dischiuse loro queste porte,
pria che il sonno mi copra della morte?

LUCREZIA:
No, non morrai; ché i perfidi
peggiore d'ogni morte,
a noi, clementi, serbano
più orribile una sorte.
Tu viver dêi morendo
nel prisco esilio orrendo . . .
Noi desolati in lagrime
dovremo qui languir.

JACOPO:
Oh, ben dicesti! All'esule
più crudo della morte
da'suoi lontano è il vivere!
O figli, o mia consorte!
Ascondimi quel pianto . . .
Su questo core affranto
mi piomban le tue lagrime
a crescerne il soffrir.
(S'ode una lontana musica di voci e suoni)

VOCI: Tutta è calma la laguna;
Voga, voga, gondolier.

JACOPO:
Quale suono?

VOCI:
Batti l'onda e la fortuna
ti secondi, o gondolier.

LUCREZIA:
È il gondoliero,
che pel liquido sentiero
provar debbe il suo valor.

JACOPO:
Là si ride, qui si muor.
Maledetto chi mi toglie
a' miei cari, al suol natìo;
sul suo capo piombi Iddio
l'abominio e il disonor.
Speranza dolce ancora
non m'abbandona il core:
Un giorno il mio dolore
con te dividerò.
Vicino a chi s'adora
men crude son le pene;
perduto ogn'altro bene,
dell'amor tuo vivrò.

LUCREZIA:
Speranza dolce ancora
non m'abbandona il core,
l'esilio ed il dolore
con te dividerò.
Vicino a chi s'adora
men crude son le pene:
perduto ogn'altro bene,
dell'amor tuo vivrò, .


quinta-feira, 17 de dezembro de 2009

I due foscari(V)

2º acto inicia-se na prisão onde Jacopo espera a sentença. É aí que tem uma visão de Carmagnola, como ele vítima da lei veneziana – uma visão que acaba por deixa-lo sem sentidos


Notte! Perpetua notte che qui regni!
Siccome agli occhi il giorno,
potessi almen celare al pensier mio
il fine disperato che m'aspetta!
Tôrmi potessi alla costor vendetta!
Ma, o ciel! . . . che mai vegg'io! . . .
(S'alza spaventato)
Sorgon di terra mille e mille spettri!
Han irto crin . . .
guardi feroci, ardenti!
A sé mi chiaman essi! . . .
Uno s'avanza! . . . ha gigantesche forme!
Il suo reciso teschio
ferocemente colla manca porta! . . .
A me lo addita . . . e colla destra mano
mi getta in volto il sangue che ne cola!
Ah! Lo ravviso! . . . è desso . . .
è Carmagnola!


Non maledirmi, o prode,
se son del Doge il figlio;
de'Dieci fu il Consiglio
che a morte ti dannò!
Ah! Me pure sol per frode
vedi quaggiù dannato,
e il padre sventurato
difendermi non può . . .
Cessa . . . la vista orribile
più sostener non so.



segunda-feira, 7 de dezembro de 2009

I due foscari(IV)

Nos seus aposentos o Doge lamenta o destino do filho quando recebe a visita de Lucrezia que vem implorar clemência. Ela suplica-lhe que anule a sentença respondendo o Dodge que as leis de Veneza impedem-no de o fazer, mas que vai apelar junto do Senado



LUCRÉCIA

Son leggi ai Dieci
or sol odio e vendetta.
Tu pur lo sai che giudice
in mezzo a lor sedesti, c
he l'innocente vittima a'piedi tuoi vedesti;
e con asciutto ciglio hai condannato un figlio . . .
L'amato sposo rendimi, barbaro genitor.

Que pede à nora que não o insulte porque para lá de toda a crença humana o seu coração está ferido

Oltre ogni umano credere
è questo cor piagato! . . .
Non insultarmi, piangere
dovresti sul mio fato . . .
Ogni mio ben darei . . .
gli ultimi giorni miei,
perché innocente e libero
fosse mio figlio ancor.

LUCREZIA:
L'amato sposo rendimi,
barbaro genitor. Di sua innocenza dubiti?
Non la conosci ancora?


LUCREZIA:
Se tu dunque potere non hai,
vieni meco pel figlio a pregare . . .
Il mio pianto,
il tuo crine, vedrai,
potran forse ottenere pietà.
Questa almeno,
quest'ultima prova,
ci sia dato, signor, di tentare;
l'amor solo di padre ti mova, s'ora
il Doge potere non ha.

DOGE:
(O vecchio padre misero,
a che ti giova trono,
se dar non puoi,
né chiedere giustizia,
né perdono pel figlio tuo,
ch'è vittima d'involontario error?
Ah, nella tomba scendere m'astringerà il dolor!)

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